Passi per la prima giornata di campionato, alla quale i Lions erano approdati forti di una bella chiusura del 2010 fatta di quattro vittorie consecutive, un notevole miglioramento rispetto agli anni molto bui passati di recente. Per aprire il nuovo cammino Detroit aveva sconfitto Tampa Bay, una squadra di rinnovate ambizioni playoffs dopo averli mancati per un soffio, ma che come tutte le altre squadre Nfl non era decifrabile all’esordio in campo in via ufficiale, perchè spesso le partite della prima settimana di gioco non possono chedare indicazioni vaghe e parziali su quello che sarà il cammino futuro di una franchigia.

Stafford e Johnson, l'asse portante dell'attacco dei Lions.

Passi anche la seconda gara, disputata contro il parente lontano di quei Kansas City Chiefs che lo scorso anno si erano così ben distinti vestendo la parvenza di una squadra pronta a rivestire nuovamente un ruolo da contender per la post-season nella Afc, trovatasi sbranata da Stafford e compagni, sommersa da 48 punti, dagli infortuni a Tony Moeaki, Eric Berry, ed ora anche di Jamaal Charles, che proprio nel sintetico del Ford Field aveva salutato per sempre il suo 2011.

Troppo facile, per qualcuno, vincere contro una delle franchigie destinate ad una chiamata alta al prossimo draft, tagliata a fette dagli infortuni e con un quarterback, Matt Cassel, che giocava come fosse l’ombra di se stesso, mostrando finalmente – per la critica – tutte le lacune per cui era stato preso di mira.

Per testare la consistenza di Detroit, servivano altri tipi di test.

Non lo sembravano i Vikings di questo campionato, autori di una partenza priva di vittorie, capitananti in attacco da un Donovan McNabb inefficace, evidentemente non inserito nei concetti del nuovo sistema offensivo, che nonostante tutto aveva comunque contribuito a creare quel vantaggio apparentemente insormontabile di 20-0 in quel primo tempo, ed ecco che immediatamente si era tornati a pensare ai soliti Lions, giudicando troppo frettolosamente la veloce partenza del team di Jim Schwartz come un lampo destinato a cadere e spegnersi per poi lasciare spazio alla solita mediocrità.

Dopo la fantastica rimonta architettata nella seconda parte di quel confronto divisionale, invece, i titoli dei giornali ed i servizi televisivi più importanti appartenevano tutti a Detroit, la Motor City, che da tempo immemore non godeva di tale attenzione mediatica a livello positivo. Poco tempo fa, la più grande notizia era lo 0-16 con cui la squadra e la città si erano ricoperti di vergogna, simbolo di un decennio più che disgraziato simboleggiato dalle scellerate decisioni prese dall’ex general manager Matt Millen, dalle numerose prime scelte sprecate, dalle 25 sconfitte consecutive accumulate fuori casa fino al campionato 2010.

La grinta di coach Jim Schwartz.

Era nell’aria che la franchigia volesse scrollarsi di dosso l’etichetta di barzelletta della Nfl, che ci fosse la volontà di costruire un nuovo inizio che riportasse i Lions ad essere un’entità competitiva come lo era nella prima parte degli anni novanta, quando raggiunse anche la finale della Nfc perdendola contro Washington, la stessa squadra – sorte decise così – contro cui Detroit si tolse dalle scarpe diversi macigni, nella vittoria di due stagioni fa che significò la definitiva ripartenza sotto il nuovo regime capeggiato da coach Jim Schwartz, e che fece terminare la serie di 19 sconfitte consecutive che pesava sopra la testa della franchigia addirittura dal 23 dicembre del 2007.

Ma torniamo al discorso di apertura, i Lions hanno dovuto affrontare gli scetticismi degli addetti ai lavori anche la scorsa domenica andando a trovare i Cowboys in casa loro, rischiando di farsi mettere troppa pressione addosso per via del record immacolato condiviso con un’altra grande sospresa, i Buffalo Bills.

La striscia positiva pareva proprio essere terminata lì, con quel mortifero 27-3 al termine dei primi due quarti di gioco con la prospettiva di un secondo tempo che sarebbe dovuto essere semplicemente  amministrato da Tony Romo e compagni, e che invece si è trasformato nella seconda grande rimonta consecutiva posta in atto da un gruppo che non intende mollare mai, e che tiene sempre accesa la fiammella della speranza.

Quel primo tempo di domenica è stato davvero da incubo.

Matthew Stafford aveva aperto con una forzatura sfociata in un intercetto. Calvin Johnson era stato costantemente raddoppiato e reso temporanemanete irraggiungibile. Ndamukong Suh era stato contenuto con un grande lavoro da parte di una linea offensiva molto giovane ed inesperta. Infine, i defensive backs, su tutti Chris Houston, avevano concesso qualsiasi cosa a Dez Bryant e a Laurent Robinson, quest’ultimo in campo semplicemente per sostituire l’indisponibile Miles Austin, e responsabile di 118 yards arrivate letteralmente inaspettate.

Troppo rumore aveva portato numerose penalità offensive spezzando il ritmo offensivo, le corse di Jahvid Best non avevano prodotto alcun che con la sola eccezione di un’azione isolata del primo drive, quello dell’intercetto menzinato poc’anzi, la linea offensiva stava lentamente cadendo sotto i colpi di una difesa ottimamente preparata da Rob Ryan, che come da copione non aveva smesso di pressare e rendere la vita impossibile a Stafford nemmeno sopra di tre segnature.

Il copione pareva scritto, proprio come la fine del periodo vincente dei Lions.

Calvin Johnson in versione Megatron, inarrestabile e spettacolare!

Poi qualcosa è accaduto, un qualcosa di magico che era occorso anche nella partita contro i Vikings, con la differenza del gentile contributo offerto da Romo nel favorire il rientro in gara degli avversari, che nel giro di pochissimo tempo erano riusciti a passare dal -24 al -10, un risultato insperato ed incredibile, alimentato dai due intercetti raccolti da Bobby Carpenter, ex Cowboy, e Chris Houston, che con una grandissima presa ad una mano con il ricevitore appiccicato addosso si era rifatto di un primo tempo terrificante.

Due turnovers ritornati in meta, due decisioni del quarterback avversario fatte pagare con il massimo prezzo. Tracce di una squadra cattiva, grintosa, che quando si ricorda di stare giocando una partita di football e mette da parte l’assenza di concentrazione prolungata e testimoniata negli ultimi quindici giorni sa essere cinica come le squadre che sanno vincere devono essere.

I Lions erano rientrati in gara nonostante le sole 134 yards concesse in tre periodi dalla super difesa di Ryan, nonostante Suh fosse riuscito a rovinare una potenziale forzatura di quarto down colpendo Romo sul casco e provocando una penalità costata tre punti – gli unici di Dallas nella ripresa -, nonostante le numerose penalità che la linea offensiva persisteva nel commettere, facendo indietreggiare l’attacco in maniera frustrante e costringendo Stafford a compiere autentici miracoli con la collaborazione di Calvin Johnson e Brandon Pettigrew, non a caso tra i protagonisti di quelle recenti e vincenti chiamate al draft che avevano cancellato per sempre gli errori passati del già citato Millen.

Le disattenzioni della linea d’attacco parevano far tramontare le ipotesi di rimonta, per quanto veritiere queste stessero divenendo, in quanto a seguire una fantascientifica presa in endzone di Calvin Johnson in versione Megatron  erano pervenuti ben quattro fazzoletti gialli consecutivi che avevano costretto ad un field goal di 51 yards ad opera di Jason Hanson, un kicker che ha vissuto sia i tempi felici degli anni novanta che quelli oscuri venuti poi dall’alto dei suoi 41 anni, un calcio che aveva portato a soli tre punti il distacco da colmare, ma senza il beneficio di disporre ancora di molto tempo per ottenere un altro possesso.

Provvidenziale era stato quindi il terzo intercetto ai danni di Romo,  stavolta ad opera di Stephen Tulloch, andato a restituire all’attacco quell’ultima possibilità, dove la strategia è andata per la giugulare senza accontentarsi di un calcio per pareggiare, dove l’esito è stato rappresentato dal touchdown della vittoria firmato ancora una volta dal favoloso Johnson, che nelle quattro gare sinora disputate ha segnato due mete ciascuna per un totale di otto, avanti anni luce rispetto alla produzione di un qualsiasi altro wide receiver professionista in questo inizio di campionato.

34-30 finale, suggellato dal sack inferto a Romo da Willie Young, entrato in quel momento solo per dare forze fresche alla pass rush, e collasso più grande nella storia di Dallas, con l’aggiunta del mantenimento dello zero nella casella sconfitte, impresa non riuscita a quei Bills che contemporaneamente avevano perso l’imbattibilità contro Cincinnati. Chiunque, dopo la seconda rimonta di fila, ha utilizzato il nomignolo Comeback Cats.

Ora non ci sono più scuse, i Lions vanno obbligatoriamente presi sul serio. Quattro partite vinte consecutivamente per cominciare il campionato non sono poche, e rappresentano la miglior partenza di Detroit dal 1980 ad oggi, un’eternità. Chiaro, ci sono tante sfide – soprattutto divisionali – da affrontare prima di poter cantare sul serio vittoria e cominciare a pensare allo scenario dei playoffs, argomento sul quale Schwartz vuole correttamente sorvolare, c’è da prendere una gara alla volta senza volare via con il pensiero e con la concentrazione, perchè di essa i Lions hanno estremo bisogno, soprattutto nei primi trenta minuti delle partite.

In fondo, non sempre è concesso rimontare nella National Football League, soprattutto se nella stessa division vi sono squadre che possono segnare all’infinito come i Packers.

Nel frattempo, i Lions si godono ciò che hanno, e non è poco. Lunedì sera sarà il primo Monday Night disputato dal 2001, l’evento sarà ospitato dal Ford Field, gli avversari saranno i Bears, una rivale diretta della Nfc North, che darà sicuramente filo da torcere ai padroni di casa. Vada come vada, resta il fatto che la squadra ha reso orgogliosa una città immersa nel grigiore più cupo del calo dell’economia e dell’aumento della disoccupazione, identificandosi con il lavoro duro tipico della Motor City, e dando un piccolo motivo di gioia a tanta gente, che quando i Lions vincono sente un minimo sollievo dai problemi di tutti i giorni, dai quali riescono temporaneamente a fuggire.

In quei momenti, dove la felicità data dallo sport fa dimenticare i ben più gravi aspetti della vita di tutti i giorni per chi è in difficoltà, l’azzurro lucente è il colore che brilla più di tutti gli altri. E per cominciare il presente campionato, i Lions non potevano fare un lavoro migliore di questo per rappresentare la gente di Detroit.

3 thoughts on “Detroit Lions, la perfezione che non ti aspetti

  1. Gran bell’articolo!
    Finalmente si torna a parlare di Detroit in chiave positiva….Playoff o no, dopo tanti anni di delusioni e frustrazioni, sarà comunque una stagione da ricordare…e con un Monday night da seguire….

  2. Sono una bellissima sorpresa…..hanno un calendario veramente ostico, Atlanta, New Orleans, 2 Green bay, San Francisco, 2 chicago, Okland. Se in queste 8, riescono a fare 4-4, con almeno una vinta su Green Bay e Chicago, diventano i più accreditati per la wild car.

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